Cinque mesi fa decidevo di dire addio a questo blog.
Non l’ho cancellato, pensando fosse una testimonianza importante di un periodo particolarmente delicato della mia vita. L’idea era abbandonarlo in questo minuscolo angolo del cyberspazio, a fluttuare in silenzio. Come fanno i ricordi nella memoria a lungo termine. Nascosti nel buio, archiviati con cura.
Tanto ero convinta della mia scelta che decisi di lasciarlo in eredità a Lei, la protagonista di ogni centimetro occupato qui dentro. Volevo che potesse vedere con i suoi occhi di cosa fosse stata capace. Quanto fosse stata una fottuta stronza narcisista bipolare. Non importa l’epilogo delle storie, l’unica cosa che conta è avere una parte nel copione.
Ho trasformato, erroneamente, il blog in qualcosa di suo. E, quando l’ho lasciata andare, era ovvio pensare che anch’esso dovesse scivolare via. Spegnere la luce e riaprire il sipario altrove. Fuggire, ancora una volta. Come quella mattina di Maggio, quando andai via dalla mia città solo per dimenticare, per non rivederla più. Come fanno i codardi che provano vergogna.
Ci pensate se fosse possibile fare lo stesso con la vita.
Resettare tutto, scegliere un altro spazio e ricominciare dal nulla. Solo pagine nude da riempire. Con la possibilità di cancellare ogni qualvolta le cose vadano storte. Sarebbe spaventosamente facile.
Io, questo blog, l’ho aperto per me. E lo scopro solo adesso.
Per testimoniare ogni vissuto, custodire ogni emozione provata, i ricordi. Anche i più distruttivi e malsani. Al di là di quella finestra si dissolve qualunque forma di calore. C’è talmente tanta anoressia di sentimenti, di legami, che ho paura di confondermi in quella massa informe di marionette invase dalla frenesia, dalle tentazioni vacue, dalle flebili certezze; che trasformano gli affetti in merci da accartocciare, gettare e rimpiazzare. Le mode odierne ci impongono di sostituire il vecchio col nuovo, la qualità con la quantità, il valore con il prezzo, promuovendo il modello di vita del “qui ed ora”. E tutti sembrano dimenticare il passato, ridicolizzare il sentire, vergognarsi delle debolezze emotive.
Non ci voglio stare a questo gioco.
Io qui dentro voglio urlare, liberarmi da qualunque vincolo, rileggermi e star male, ancora e ancora, nel tentativo di non perdere, e recuperare, di volta in volta, la mia (dis-)umanità.
L’anno appena salutato è stato troppo importante per poterlo cancellare con un click.
Ho fatto l’amore per la prima volta, ho viaggiato, mi sono persa, ho lavorato ad eventi nazionali, ho accettato la mia sessualità, ho avuto un trauma cranico, ho temuto di morire, ho fatto il bagno mezza nuda nel gelido mar Tirreno, mi sono ubriacata fino a vedere i folletti, ho flirtato con un’esemplare di quella popolare razza chiamata eteroconfuseforsebisessualinonsosemipiacelapatata della quale tutti parlano ma che non avevo mai visto dal vivo, sono dimagrita, ho cambiato colore di capelli, sono diventata sicura di me, è nato un bel rapporto di amicizia con una ex che avevo ferito a morte, e soprattutto ho scoperto che il destino, o qualunque cosa sia, a volte è un amorevole bastardo.
Perché, proprio quando la mia vita sembrava scritta, organizzata, imbustata e spedita, arrivano i risultati di quel test, fatto quasi per caso, senza aver aperto libro. Neanche nei miei sogni più reconditi avrei potuto immaginare di superarlo. E così, a quanto pare, per il momento, ogni cambiamento di rotta sembra congelato a data da destinarsi, lasciandomi indisturbata a vivere il mio piccolo sogno.
Potevo riassumere tutto dicendo che sono cresciuta, che mi sento addosso due gran paia di palle di acciaio e che tutto questo è stato possibile anche grazie a quel passato racchiuso qui, che volevo cancellare, che mi ha distrutto e dato la possibilità di reinventarmi, e che, porca troia, me lo tengo stretto perché mi piace rileggermi e ciò che sono adesso. Ma, come tutti sanno, amo adornare. E adesso è così facile dire “sono qui”. Come se fossi tornata da un lungo viaggio, scesa dalla folle corsa di un treno mai partito davvero.